Operazione |
01 maggio |
Ore 10 e trenta del mattino. Che per noi poco abituati è sempre particolarmente mattino. Noi cinque, Ivan, Cochese, Mirco, Cipo, Camilla, Sem, Tony e Raffa più due accompagnatori della Regione Piemonte al ritrovo di fronte a Casasonica. Un saluto alle bariste dell'Elena e ai baristi dell'Antonelli, a Ferruccio a Nicoletta che sgrana l'elenco delle cose "...importanti che è meglio che vi dica adesso anche se..." fino a che il pullman chiude le porte e forse anche dopo. Il pulmino è offerto dalla Regione Piemonte, di cui siamo per certi versi rappresentanti, la procedura è la stessa di sempre: i secchioni davanti, i guastatori sui sedili in fondo. Inutile dire che per la disparità del peso è un miracolo che il bus non impenni.
All'aeroporto milanese: il tempo per il check-in (o come disse qualcuno check-up) e per un pranzo
fast-burger (King) scorre velocissimo. Per cui bagagli alla mano passiamo al
controllo passaporto-bagagli. Vicio giura di aver visto un musulmano chino su un tappeto pregare verso la Mecca, ma in effetti in sala si respira un'aria piuttosto tesa. Siamo vicini all'imbarco per Tel Aviv ed è
tutta una parata di mitra e tute blu. Max attacca a raccontare di quando dieci
anni prima prese un aereo da Tel Aviv subendo interrogatori incrociati.... Per
fortuna è presto ora di imbarcarsi. Ci avviamo verso il nostro aeromobile, questo enorme salotto che ci ospiterà per 12 lunghe ore.
"Minchia dodiciore? Sì ma vedi che volano!" E altre battute del
genere.
Il viaggio è un massacro a tutti gli effetti. Ma si ha il tempo per fare tante utili cose. Tipo vedersi due film:
"'Ocean's Eleven" e l'assolutamente inutile "Be Dazzled". Tipo giocare a scopa: Samuel, Ivan, Cipo e Tony
Raffa con una grazia da galeotti. Cristonando e starnazzando fino a provocare le
proteste di molti passeggeri in cerca di sonno. Tipo accorgersi che sotto questo
scuro tramonto c'è la sconfinata Siberia. E che ti viene un brivido di emozione
come quando da piccolo pensavi alle avventure negli abissi marini. Pensi
inevitabilmente alle proporzioni che cambiano, a come è enorme e possibile il
mondo. A come sono poca e piccola cosa le nostre quotidiane prospettive, quando
in dieci minuti il telegiornale che ti fa roteare il mappamondo elettronico
pretende di avertelo raccontato tutto. La Mongolia, il deserto del Gobi, La
Cina. Anche in Cina c'è il deserto.
Partendo di pomeriggio, attraversiamo la notte, atterriamo alle dieci del mattino, il tutto in un viaggio che dura dodici ore. Praticamente nessuno di noi ci capisce più un
cazzo. In pochi riescono a dormire. Arriviamo ad Osaka e scesi dall'aereo c'è
subito pioggia. Max e Boosta si esaltano ricordando "Black rain" il
film di Ridley Scott. Michael Douglas e Andy Garcia si fanno scappare il perfido
Sato proprio all'aeroporto. E piove nel film. E piove anche qui mentre
attraversiamo ponti che separano il mare interno da gigantesche industrie di
acciaio, ciminiere e cisterne. Capiamo subito perché Ridley Scott ha scelto
Osaka. Non esiste città al mondo che più abbia ereditato gli incubi di Blade
Runner. "....Una pioggia sporca".
In cuffia Cornelius e Kid-A (Radiohead). Man mano che proseguiamo il paesaggio
diventa sempre più esagerato nei suoi grovigli di tubi e scarichi e container
sul mare. A confronto Marghera sembra un'oasi protetta e Gela un parco naturale.
Però dire che è brutto non si può. Oltretutto i Giapponesi conservano anche
nel degrado uno straordinario equilibrio paesaggistico. Non c'è mai uno svacco
figurativo. Quei tronchi riversi nell'acqua per esempio, sono inclinati ed
accoppiati come per una sorta di suprema volontà estetica. Poi ci sono sempre
gli ideogrammi ad incorniciare il tutto. Sono belli gli ideogrammi. Anche se
magari c'è scritto "attenzione scarichi nocivi" oppure "se fai
il bagno ti trasformi in rospo mutato", aggiungono un tono di cura
all'insieme.
Passata una costellazione di svincoli a più piani siamo in dirittura di albergo. L'albergo è giusto a fianco dell'imponente Intex, sede della grande esposizione. Siamo sulla baia nella zona industriale del porto. Dal ventesimo piano del nostro Hotel dominiamo un paesaggio di canali, navi mercantili grattacieli di cinquanta e passa e cantieri.
Decidiamo di dormire due ore, dopo aver mangiato sashimi di tonno, tempura, zuppe di miso e una quintalata di riso. Ci svegliamo abbruttiti, ma decisi a sforzarci per rimettere in sesto il nostro Jet-lag quanto prima. Oltretutto ci aspetta il sound-check.
Giungiamo in un enorme padiglione situato davanti all'ingresso della fiera dove i nostri tecnici con gli occhi fuori dalle orbite per il sonno, hanno appena finito di coordinare un'efficiente squadra di playmobil del luogo che tirando cavi e piazzato microfoni senza parlare una sola parola d'inglese ha montato e cablato alla perfezione palco ed impianto. Arigatò. Due ore di prove tra sbadigli a raffica e giramenti di testa. Ma in qualche modo ci riprendiamo.
Ci riprendiamo anche perché siamo attesi all'Hyatt Hotel (palazzo di cinquanta e fischia) dove in pompa magna in un enorme ed incredibilmente elegante salone (in Giappone elegante vuol dire elegante), si svolge un ricevimento-inaugurazione-degustazione dei prodotti enogastronomici dello stivale. Massimo, il giovane e piuttosto sveglio organizzatore per la regione Piemonte ci fa avere gli inviti e ci rassicura sul nostro abbigliamento casual (un pietoso eufemismo). Spiegandoci che siamo gli artisti italiani del momento, siamo stati selezionati rappresentanti della cultura e dello spettacolo nazionale e in pratica possiamo presentarci un po' come cazzo ci pare. Arriviamo umili e timorosi in mezzo a più di un centinaio di cravatte italiane e del sol levante con relative dame in decolletè passando alla reception della festa per consegnare gli inviti. Le hostess giapponesi del banco di accettazione si portano una mano alla bocca ed emettono alcuni emozionati gridolini. Voi siete subsonica...davvvveeerooo? UuuuuuuHHH!!Ci guardiamo straniti e qualcuno si da anche un pizzicotto. Ma niente di strano dopo pochissimo tempo veniamo a scoprire di essere un piccolo mito locale per le studentesse nipponiche di Italiano. Questa impressione diventa certezza nell'arco della serata. Ci ritroviamo ben presto ad essere al centro di una serie di conversazioni e relative firme di autografi con fanciulle del posto accompagnate da personaggi del mondo dell'universo affari e commerci della città. Firmiamo per un dirigente Mitsubishi e per sua figlia (che manco a dirlo studia italiano), chiacchieriamo sbagliando sistematicamente titoli e posizioni ..."dunque lei è assessore o presidente o direttore...facciamo console e non se ne parla più?". Ci divertiamo buttandola sul cazzeggio&simpatia, assaggiando in piedi prosciutti, piatti di pasta, formaggi, assaggi di risotto e bicchieri di vino. I camerieri giapponesi e coreani sfilano propinandoci vassoiate di vini bianchi e rossi e spumanti. Sembra un film. Alla fine a tenere banco rimarranno Samuel e Max. Oltre all'indistruttibile Ivan che in quanto a "equilafesta?" non ha nessun rivale.
Con noi c'è anche Yuki. Yuki è una ragazza giapponese che ha studiato per un anno a Firenze. In qualche modo ci ha ascoltati per radio, si è procurata i dischi e ci ha scritto una volta tornata in Giappone. Presa da nostalgia ha anche programmato un sito scritto in giapponese.
Sarà la nostra preziosa guida esclusiva in questi giorni. E anche la nostra traduttrice. In Giappone difatti contrariamente alle credenze comuni si parla inglese tanto quanto in Italia. Cioè quasi zero. Però non è che nel frattempo riesci a taroccare parole con radici simili per arrivare ad una vaga forma di intesa. No. Zero. Inchini sorrisi e vai senza capire niente di niente. Raggiungiamo le belle stanze dell'Hotel, ci perdiamo nella contemplazione dei vari gadget di arredamento: il bidet che fuoriesce meccanicamente in forma di braccio-spruzzino dalla tazza, lo specchio riscaldato con resistenze che non si appanna, il cavetto per il portatile già appoggiato sulla scrivania (Ninja non crede ai suoi occhi), un telefono ed un fax. La camiciona da notte a righe e le ciabattine. Un pannello di comando di fianco al letto che controlla le luci il riscaldamento e la diffusione della musica. Il bollitore con tanto di bustine di the verde, caffè solubile ed altre robe indecifrabili e chissà quante altre sorprese che scopriremo solo vivendo. Dopo aver dormito una dozzina di ore però. Alle 22 per una magia di fusi orari siamo fusi di stanchezza e ci estinguiamo.