Pensavamo che la
nostra posizione in qualche modo alternativa ci desse il diritto di
considerarci "i più trasgressivi della riviera". E invece che
frustrazione sentirsi dire dalle signore dell'hotel "questi ragazzi
sono i più gentili ed educati artisti del festival che abbiamo mai
ospitato" (...altro che Keith Moon che fa esplodere i cessi degli
hotel con la dinamite, altro che Public Enemy che abbattono una parete
dell'albergo con il martello pneumatico...). Con un velo di amarezza
dobbiamo ammettere che il vero spirito malato del rock and roll a 'sto
giro non alloggia qui. E allora usciamo nella notte alla ricerca dell'aura
dannata di un rosso vestito - stivale bianco mozzato Umberto Tozzi -
l'ultimo dei rockers. E lo troviamo. Ci saluta al bancone del pub con
sguardo velato e distante e un bicchiere di qualcosa di forte in mano che
viene prosciugato all'istante. "Ciao ragazzi!". Nessun complimento
gratuito o forzato (sono molto in voga da queste parti) - sarebbe
superfluo -, solo una reciproca simpatia epidermica e neanche tanto
manifestata. Roba da rockers. Lui parla tranquillo con un incedere
biascicato (come già dicevamo) alla Lou Reed mentre il suo truccatore/trice
(?) Massimo (un personaggio veramente esuberante) scatena una rissa nella
discoteca in seguito a un approccio un po' azzardato. Il tonico bass Vicio
interviene supportato da Ivan a calmare acque e security. Tozzi osserva
distaccato e commenta tra se e se senza scomporsi, asciugando nel mentre
un paio di cuba libre come fossero gocce d'acqua. Alla fine interviene con
carisma (e quattro guardie del corpo al seguito) immischiandosi per un
attimo nelle misere vicende umane e riportando il peace and love nella
sala, come neanche John Lennon avrebbe saputo fare.
Dormiamo il tempo di una radioedit e ci svegliamo con la videocassetta del
festival e la rassegna stampa da ispezionare. Dalle prime immagini capiamo
che ci sono un bel po' di cose da migliorare sul bilanciamento dei suoni e
capiamo anche che Samuel ha patito in effetti un po' lo stress dei
microfoni, dei quali non sapevamo fino all'ultimo se sarebbero stati
collegati correttamente. Faremo di meglio. La stampa festivaliera ci
regala in media un 6 al 7. Pare che da queste parti risultiamo oltretutto
un po' scostanti e dicono, presuntuosetti: ci dispiace perché non è
nostra intenzione, ma del resto non ce la sentiamo di unirci al coro di
lode al festival, non essendone neanche mai stati spettatori.
L'atmosfera nel paese all'esterno del festival esalta ulteriormente il
carattere fieristico della manifestazione.
Durante il pomeriggio facciamo molte interviste negli stand delle radio
con i nomi più inquietanti, in un'atmosfera da luna park dell'etere. Il
clima è decisamente meno pressante che nei dintorni dell'Ariston e il
cielo terso imbrunisce indifferente al frastuono emesso da decine di
altoparlanti che pompano stacchi pubblicitari e sonorità FM dagli stand
variopinti. Le voci dei dj declamano i titoli di brani e classifiche con
lo stesso timbro di voce di un giostraio del tagadà o del calcinculo.
Durante questo giro ci rendiamo conto che il nostro è forse l'unico pezzo
del festival trasmesso massicciamente. Facciamo anche una diretta con
Ambra che a sorpresa ci appare come una delle figure più umane della
giornata.
In questo momento viviamo una specie di sospensione stordita: abbiamo
toccato il cuore di un mondo disorientante che non finisce di stupirci, ma
ci siamo resi conto che di qua si può tracciare un sentiero. E' un
territorio nauseantemente variopinto - caramellato - esasperatamente
superficiale e proprio per questo molto rapido; si lascia
sorprendentemente tagliare come il burro e manifesta molta più curiosità
di quanto non immaginavamo dall'esterno. Ci sembra più semplice per ora
sfondare questa porta che non passare nell'universo sclerotico, gerarchico
e narcisista di qualche redazione giornalistica ferma all'età della
pietra.
Oggi si corre freneticamente saltando in taxi da un'intervista all'altra
con il portatile sempre appresso rubando ritagli di tempo per i nostri
reportage (dio, quanto abbiamo bisogno di sapere che ci siete dall'altra
parte del mondo).
Una giornalista appena arrivati ci ha detto "stando a Sanremo dopo
qualche giorno potrebbe esplodere la terza guerra mondiale che qui nessuno
se ne accorgerebbe". Vi assicuriamo che rende perfettamente l'idea.
Arriviamo alla cena servita dal solito Giorgio - uno spettacolare ex
capellone ex armonicista blues - che tra una portata e l'altra cita
Muddy Waters & co. I suoi commenti sul festival meriterebbero uno
spazio a parte se solo ne avessimo il tempo.
La prima parte della serata ci vede spalmati sui letti in libertà fino a
mezzanotte. A mezzanotte abbiamo appuntamento in un'angusta postazione
radio RAI International. Ad attenderci in trasmissione lo speaker Marco
Artico e ... Pupo (???). Troppo tardi per tirarsi indietro. Entriamo nella
piccola regia ed affrontiamo di petto la situazione, motiviamo
ulteriormente la nostra presenza qui e bla bla. Dopo un po' di chiacchiere
salta fuori una chitarra acustica posta con tono di sfida in diretta al
gruppo di musica elettronica. Max la imbraccia e senza neanche guardasi un
attimo intorno attacca "Tutti i miei sbagli" unplugged, con
Samuel che immediatamente canta sciogliendo i microfoni dello studio. La
storia finisce con Pupo quasi in lacrime e lo studio in brodo di
giuggiole. Ciao grazie!. Pub.
Il Ninja insolitamente ubriaco si intrattiene a straparlare
disinvoltamente con chicchessia. L'ambiente è abbastanza il solito:
orchestrali, tecnici, discografici che non frequentano il casinò,i big e
le giovani proposte più nottambule (peraltro proprio pochi). Passa il
tempo e ci rendiamo conto che Tozzi e quel pazzo/a del suo truccatore un
po' ci mancano. In compenso ritroviamo alcune facce conosciute. Per
esempio un curioso personaggio vestito con Loden verde (roba d'altri
tempi) fa capolino ed è subito festa. Si tratta di Gabriele Ferraris,
inviato torinese de La Stampa. Un matto di quelli veri. Incomincia
intrattenendo la tavolata con aneddoti esilaranti e termina indossando un
soprabito in pelle facendo il verso al Baglioni dell'ultimo video
(qualcuno ne aveva sottolineato la somiglianza) e cantando a squarciagola
per strada. Nel mezzo ci stanno centocinquanta carte di consumazione che
probabilmente addebiterà al suo giornale con la motivazione: "l'uomo
non è fatto di legno". Nel frattempo Samuel & co. hanno fatto
evaporare qualche centinaio di mila lire al casinò. Qualcuno sparisce con
qualche corista, qualcun altro litiga col portiere di notte per cercare di
salire in stanza con la ragazza. Come rimpiangiamo i costumi ben più
rilassati di altre riviere italiane.
Agendina Del Chi Cazzo Se Ne Frega
- Il pezzo dei
Subsonica è stato definito dalla stampa:
- Un pezzo
post-atomico con effetti voce provenienti dallo spazio (?) (Il
secolo XIX)
- Un pezzo crudele e cool coi violini alla Garbage 007 e il basso
reggae (?!?) (Il Manifesto)
- Un brano tecno-pop anni '70 (Il Giornale) [qualcuno sa
indicarci anche solo un pezzo di questo presunto genere?]
- Pezzo dance elettro-pop anni '80 (l'Unità che fra l'altro
arbitrariamente suppone che i Subsonica non sappiano cosa sono
venuti a fare a Sanremo)
- Made in Italy elettronico distorto post-romantico internazionale
(La Stampa) |
- Lo stilista
Alessandro Dell'Acqua intignusitosi per averci visto mischiare i suoi capi
con "quel che capita", ha minacciato di ritirarci i suoi vestiti
per altro veramente belli.
- Siamo
ossessionati da un sessantenne fantomatico redattore fotografo tuttofare
della prestigiosa testata sportiva "Forza Reggina". Vorrebbe
fotografarci con la maglia della squadra e non ci da tregua. Forse finirà
giù da una scarpata.
Mother - Computer di bordo
- 22-02-00 |